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Per scrivere bisogna leggere.
Perché è questo, no?, il super-stereotipo della scrittura: lo dicono tutti, i nonni, i genitori, i professori, tutti coloro a cui avete detto, in un disgraziato momento di debolezza, che vorreste scrivere.
Il fatto è che è vero, non c’è niente da dire. Mi pare ovvio: se non ti piace l’idea di prendere in mano un libro e passarci dentro qualche ora, se non provi almeno un po’ di attrazione per la carta stampata, se le parole, le storie non ti interessano, ma che ti scrivi? Se tutto questo non ti affascina, come ha fatto a venirti in mente di scrivere?

E tuttavia mi è sempre parso che la frase in questione sia sufficientemente vaga da poter essere usata dagli stessi nonni, genitori e professori per:
1. mascherare l’incapacità di dare suggerimenti migliori
2. riportare i giovani all’ovile, allo Studio propriamente detto, dando a intendere che il momento di scrivere le proprie storielle arriverà solo dopo aver letto e studiato le cose importanti.

Di recente però sto mettendo un po’ in discussione questa faccenda del leggere.
Non nel senso che ho smesso, sia ben chiaro; tutt’altro. Però mi sembra che, di tutti i libri che ho letto pensandoli come un dovere, non mi sia rimasto mai molto. Li ho amati, magari, anche tanto, ma mi pare di capire che ci voglia della tecnica, per imparare a scrivere a partire dalla lettura: che non basta leggere il libro e scorrerlo, che non basta osservarne lo stile, per trarne qualche cosa di utile per la propria scrittura (per trarne qualcosa di utile dal punto di vista umano invece basta eccome, eh, non confondiamo i due piani).

Credo che si impari a scrivere per tentativi, prendendo spunto da quello che fanno gli altri, fino a che non si capisce come inventare modi propri. In questo senso Daria da ragazzina, che senza alcuna tecnica scriveva storie piuttosto simili a quelle che leggeva, cercando di riprovare le stesse emozioni che le aveva dato la lettura, era un passo avanti rispetto a quello che le è stato infilato nella testa dopo.
A intuito, senza preoccuparsi di plagio o di questioni di creatività, capiva che la strada giusta era fidarsi delle storie che le piacevano, che tendenzialmente erano piuttosto semplici, e riutilizzarne i punti essenziali per scrivere qualcosa di proprio.
E man mano che scriveva, cercava nuovi spunti e nuovi modi – nuovi personaggi, nuovi dialoghi, nuove descrizioni – e scopriva quindi nuovi libri, facendosi sempre guidare solo dall’istinto, al di là di quello che era giusto o sbagliato leggere, ignara di questioni ininfluenti come l’eterna lotta tra letteratura ed editoria commerciale, classici e contemporanei: Daria leggeva allo stesso modo Piccole Donne e i libri per ragazze della collana Gaia Junior, La Capanna dello Zio Tom e le avventure del Battello a Vapore.

Naturalmente poi si cresce.
Si scopre che c’è un sacco di gente viva e (soprattutto) morta con cui confrontarsi, e che è così tanta e così brava da restare annichiliti. Si scopre che c’è la forma, e che un sacco di gente attribuisce molta più importanza alla forma che al contenuto, e che quella farà la differenza tra una scrittura buona e una scrittura cattiva. E quindi, bisogna mettersi a imparare.
Ma a un certo punto poi basta.
A un certo punto, se si vuole scrivere, bisogna mettersi a farlo. E solo quando si sarà scritto un pochino, si comincerà davvero a leggere: a leggere sì con uno scopo, ma tornando a essere quanto più possibile lettori, per cercare di capire ciò che è bello, ciò che è emozionante a partire dalle proprie emozioni. Per affinare l’intuito, aggiustare il tiro su cosa funziona e cosa no a partire da ciò che piace a noi.

Per questa ragione, molto di recente sto venendo a patti con il fatto che non leggerò tutti i libri del mondo, e che di certo non leggerò tutti quelli che sarebbe importante leggere. In compenso, sto leggendo con piacere come non mi succedeva da quando ero bambina.
Mi diverto, soffro, mi annoio: farlo è il mio lavoro.
Mi viene quindi da rovesciare il super-stereotipo: ci sono di sicuro dei libri iniziali, quelli a partire da cui si è pensato di voler scrivere (sto pensando a quali potrebbero essere i miei), ma poi, a un certo punto, per scrivere bisogna scrivere.
Solo dopo che si sarà scritto, si imparerà a leggere.